Privacy: Google segue Apple nel blocco del tracciamento nelle app

La posizione di Apple sulla privacy fa eco in tutta la Silicon Valley e per ogni azienda di social media che perde miliardi di dollari ce n’è un’altra che concorda con il piano di Apple. Anche Google afferma ora di voler limitare la tecnologia di monitoraggio degli annunci, ma questo non accadrà prima di due anni.
La controversa decisione di Apple di introdurre la App Tracking Transparency (ATT), cioè un sistema con cui le app devono chiedere il consenso al tracciamento utenti, ha generato un’ampia discussione. In sostanza, rappresenta un tentativo di mettere un filtro tra utenti e società di marketing per aumentare la privacy degli utenti e ridurre l’abuso delle informazioni ottenute attraverso la pratica di tracciamento.
La decisione dell’azienda di introdurre i controlli ATT ha un impatto molto forte su aziende come Facebook, che potrebbero perdere circa 10 miliardi di dollari all’anno, secondo alcune stime. Ma in quale momento è stato chiesto agli utenti il consenso per cedere qualcosa di valore così alto?
Il framework ATT arriva in seguito una discussione molto ampia sul tema della privacy nell’era digitale, e ha raccolto grande sostegno da parte del pubblico.
Nella maggior parte delle nazioni, le autorità di regolamentazione della privacy hanno iniziato a esaminare le policy utilizzate su altre piattaforme, rendendo inevitabile a Google l’adozione di misure simili. Che è esattamente ciò che sembra accadere.
Google Privacy Sandbox
Google ha annunciato che la funzione Privacy Sandbox sarà introdotta nelle future versioni di Android, presumibilmente dal 2024.
Una buona notizia per gli utenti, ma probabilmente di portata limitata. Ecco perché: Android è ora alla versione 12 (con la 13 in attesa di essere lanciata sul mercato), ma Android 10 (rilasciato nel 2019) è attualmente la versione del sistema operativo più utilizzata. Poco meno della metà (49,2%) di tutti i dispositivi Android in uso oggi utilizza Android 9, vecchia di quattro anni, o versioni addirittura precedenti.
In altre parole, una volta che Google introdurrà Privacy Sandbox con Android 15 (presumibilmente), ci vorranno alcuni anni prima che venga ampiamente distribuito sulla maggior parte dei dispositivi. È logico pensare che questo attutirà l’impatto della misura usata da Google.
Google sembra soddisfatta, tuttavia. Annunciando la decisione, Anthony Chavez, vicepresidente per la gestione dei prodotti Android, ha – velatamente – sottolineato come altri approcci molto aggressivi sul tema della privacy nella pubblicità siano inefficaci (pensiamo si riferisse proprio all’approccio di Apple).
Il che sembra un’accusa insolita da fare, dato che l’alternativa di Google, a sua detta, “efficace” richiederà anni per avere un impatto significativo. Chavez nel suo post prosegue: “Il nostro obiettivo con Privacy Sandbox su Android è sviluppare soluzioni pubblicitarie con una migliore gestione della privacy […] e fornire agli sviluppatori e alle aziende gli strumenti per avere successo nel mobile. Mentre progettiamo, costruiamo e testiamo queste nuove soluzioni, prevediamo di supportare le funzionalità della piattaforma pubblicitaria esistente per almeno due anni e intendiamo fornire un preavviso prima di eventuali modifiche future”.
In viaggio verso la pubblicità 4.0
Quello che sta realmente accadendo è una trasformazione del settore pubblicitario. Storicamente, con l’evoluzione di Internet, le società pubblicitarie hanno cercato di sfruttare la tecnologia fino a generare così tanti dati personali da generare un enorme problema di violazione della privacy.
La pubblicità ha raccolto dati, e trasformato le persone stesse in dati.
In una conferenza dei commissari per la privacy europei nel 2018, il CEO di Apple Tim Cook disse: “Per avere successo, la tecnologia non ha bisogno di grandi quantità di dati personali aggregati da dozzine di siti Web e app. La pubblicità è esistita e ha prosperato per decenni senza i dati. Siamo qui oggi perché il sentiero di minor resistenza è raramente il sentiero della saggezza”.
A un certo punto, questa enorme raccolta di dati doveva finire. Probabilmente Apple ha contribuito ad accelerare quel finale, ma anche le autorità di regolamentazione della privacy si sono rese conto del problema. Il cambiamento era solo questione di tempo.
Il cambiamento sta arrivando!
È in questo contesto che si colloca la decisione di Google, che chiaramente mira anche a non distruggere la propria attività pubblicitaria, e diventa una risposta inevitabile alla necessità di definire un equilibrio più sottile tra esigenze commerciali e privacy personale.
Costruire questo tipo di approccio richiederà tempo, il che immaginiamo sia il motivo per cui Google sta effettivamente chiedendo altri due anni per portare a termine le operazioni. Durante questo periodo, promette di collaborare con i garanti per creare vincoli legali che supportino l’attività pubblicitaria, ma proteggendo al contempo la privacy degli utenti.
Le premesse sono buone. Google afferma che Privacy Sandbox non utilizzerà identificatori comuni tra più applicazioni, né sfrutterà i numeri identificativi degli annunci per tracciare gli utenti, e promette di lavorare per prevenire la raccolta illecita di dati.
Tuttavia, l’inevitabile implicazione è che l’industria pubblicitaria dovrà sviluppare un nuovo approccio al business online. Lo ha già fatto prima. Se consideriamo la versione 1.0 della pubblicità quella su carta stampata, la 2.0 quella in televisione e la 3.0 l’attuale abuso di dati in rete senza alcun vincolo, allora la pubblicità 4.0 potrebbe diventare un ritorno agli annunci creativi mirati, in un ambiente caratterizzato da un accesso limitato alle informazioni personali.
I dati rimarranno fondamentali ma non è necessario che diventino “personali”.
Sul blog di Forrester, le analiste Stephanie Liu e Joanna O’Connell, hanno dichiarato: “Per gli esperti di marketing e gli inserzionisti, limitazione all’uso dei dati è un fenomeno destinato a rimanere. L’approccio di Google sarà molto più lento, più cauto e più trasparente di quello di Apple, ma il risultato finale sarà lo stesso: l’accesso ai dati dei consumatori sarà limitato. Pertanto, come abbiamo notato la scorsa estate, i professionisti del marketing devono continuare a testare diversi target e misurare il loro pubblico”.
Se questa necessità di cambiamento potrebbe non essere universalmente accolta dall’industria pubblicitaria mondiale (con un fatturato di 622 miliardi di dollari), è improbabile che la trasformazione possa essere evitata.
È possibile che le aziende siano semplicemente costrette a diventare ancora più creative nei loro approcci, con sponsorizzazioni, creatività e pubblicità altamente focalizzate sull’argomento per riuscire ad aggiudicarsi i budget precedentemente allocati alla pubblicità personalizzata e non più utilizzati.