Facebook, Google, Microsoft e Twitter si sono formalmente impegnate a rimuovere entro 24 ore dalla notifica parole di odio pubblicate sulle loro piattaforme da parte di utenti dell’Unione Europea. E’ una risposta alla sfida di garantire che le piattaforme online non offrano opportunità di una diffusione virale di contenuti razzisti, secondo la Commissione Europea, che ha spinto per l’accordo.

Le società hanno concordato di creare un processo chiaro per la ricezione e la revisione di notifiche sulle espressioni di odio illegale pubblicate sulle loro piattaforme, e di rivedere “la maggior parte delle notifiche valide” in meno di 24 ore, rimuovendo o disattivando l’accesso ai contenuti, se necessario.

Věra Jourová, il commissario europeo per la Giustizia, i consumatori e l’uguaglianza di genere ha accolto con favore l’impegno. “I recenti attacchi terroristici ci hanno ricordato l’urgenza di affrontare le espressioni illegali di odio online. I social media purtroppo sono uno degli strumenti che i gruppi terroristici usano per radicalizzare i giovani e diffondere violenza e odio”, ha dichiarato.

Il nuovo codice di condotta contribuirà a garantire che Internet “rimanga un luogo di espressione libera e democratica, in cui sono rispettati i valori e le leggi europei”, ha aggiunto Jourová.

Non tutti sono soddisfatti di questa mossa, però.

Due gruppi per i diritti civili con sede a Bruxelles, Access Now e European Digital Rights (EDRI), hanno anche abbandonato l’istituzione “UE Internet Forum” della Commissione Europea, in segno di protesta contro il contenuto del contratto e l’esclusione di ONG o associazioni civili dalla stesura dello stesso.

I gruppi dicono che, in base all’accordo, le società si impegnano a vietare dai propri servizi i contenuti che sono già legalmente vietati.

Le aziende, nel frattempo, promettono di realizzare un canale speciale per alcune organizzazioni – forze dell’ordine e ONG – per segnalare contenuti incriminati. L’accordo prevede anche che le società facciano “formazione” su ciò che è consentito dai loro termini di servizio. Questa è un’altra fonte di protesta, in quanto i gruppi civili sostengono che le aziende mettono il proprio codice di condotta davanti alla legge.

Joe McNamee, direttore dell’European Digital Rights, ritiene che la Commissione abbia sbagliato le sue priorità, e che non solo i contenuti illegali devono essere bloccati, ma i loro creatori dovrebbero anche essere perseguiti. “E’ paradossale che la Commissione minacci di portare gli Stati membri in tribunale per non aver attuato le leggi dell’Unione Europea sl razzismo e xenofobia”, ha scritto via email, “mentre riesce a convincere aziende come Google e Facebook a nascondere i reati sotto il tappeto”.