
Tecnologie di memoria dei dischi a stato solido

C’era una volta la memoria allo stato solido, componente essenziale dell’hardware in quanto capace di contenere brevi programmi di avvio, aggiornabili di quando in quando se qualcosa andava storto. Erano le Eeprom, nate nel 1977 e oggi in gran parte sostituite dalle più versatili memorie flash. Il tentativo di usare circuiti al posto di superfici magnetizzate anche come memoria di archiviazione è però vecchio come l’informatica. I primi esperimenti risalgono addirittura agli anni cinquanta, con le memorie a nuclei magnetici adottate nell’era dei computer giganti a valvole termoioniche, poi abbandonate con l’arrivo dei nastri e dei dischi magnetici.
La lentezza delle prime soluzioni allo stato solido, che andavano cancellate completamente prima di sostituire i dati in esse contenuti, non aveva però nulla a che vedere con quello che è stato da sempre l’obiettivo primario della ricerca sugli Ssd: ottenere chip per archiviare dati permanentemente e raggiungere prestazioni in grado di avvicinarsi a quelle della memoria volatile, capace di dialogare direttamente con la Cpu. In questo senso gli anni ’80 hanno assistito anche a un ampio uso dei Ram drive, in cui una porzione di memoria volatile era usata per archiviare dati in modo semi permamente, almeno finche i circuiti rimanevano alimentati, magari con batterie ricaricabili come nel caso della BatRam introdotta dalla Santa Clara Systems nel 1986.
La vera svolta arrivò però con le memorie flash, sviluppate da SanDisk e lanciate nel 1991, che erano sì più lente delle soluzioni basate su Dram, ma non avevano bisogno di essere costantemente alimentate per mantenere i dati. Il primo Ssd aveva una capienza di 20 MB, costava circa mille dollari ed aveva prestazioni in qualche caso inferiori a quelle dei migliori hard disk, ma la strada era ormai tracciata.
Negli anni successivi le prestazioni degli Ssd basati su flash sono migliorate lentamente ma costantemente, così come i costi dei loro componenti sono diventati più competitivi, anche se contemporaneamente sono migliorati anche gli hard disk elettromeccanici, impedendo agli Ssd di sfondare nel campo dello storage, almeno fino a poco tempo fa.
I dischi allo stato solido sono quindi rimasti a lungo relegati a piccole ma importanti nicchie di impiego, con i veloci modelli basati su Dram sfruttati dagli Hpc (Computer ad Alte Prestazioni), quando erano richieste prestazioni estreme, e le robuste flash diffuse nelle situazioni in cui gli elementi meccanici di un hard disk non avrebbero garantito sufficiente affidabilità, come in campo militare o aerospaziale.
Due cambiamenti hanno consentito alle memorie Flash di sfondare: l’abbassamento del prezzo al di sotto di quello della Dram e nuovi controller che hanno migliorato prestazioni e affidabilità
Due grandi cambiamenti hanno però portato, solo negli ultimi anni, ad ampliare radicalmente questa prospettiva. Il primo è databile approssimativamente nel corso del 2004, quando il costo al megabyte delle memorie Nand flash è diventato più basso di quello delle volatili Dram. Il secondo è invece avvenuto nel 2009, con l’introduzione di nuovi controller e più efficienti tecnologie di gestione degli Ssd basati su flash, che ne hanno incrementato in modo sensibile prestazioni e affidabilità, rendendo anche i modelli più economici adatti a velocizzare in modo significativo un sistema di storage di classe enterprise.
La tecnologia degli Ssd
Attualmente i dischi flash, gli unici ragionevolmente impiegabili in sistemi di storage per le aziende, racchiudono in un’unica board nel formato di un hard disk slim da 1,8” o 2,5” una quantità variabile di chip di memoria e un controller specifico. Quest’ultimo ha un ruolo fondamentale nella definizione delle specifiche di un Ssd, molto più di quanto avvenga per gli hard disk tradizionali.
Oltre a gestire la correzione degli errori e a mappare i blocchi danneggiati, un moderno controller si occupa di ottimizzare le prestazioni sfruttando algoritmi di compressione dei dati e di interleaving, applicando ai blocchi di memoria interni tecniche simili al Raid mirroring usato nei sistemi multi disco. Il controller si occupa anche della riservatezza dei dati via encryption e dell’operazione di garbage collection.
Le memorie possono essere di tipo Slc (single-level cell) o Mlc (multi-level cell). Le prime sono ampiamente usate negli Ssd meno costosi, poiché permettono di risparmiare circa il 30% sul costo a gigabyte, ma garantiscono prestazioni minori. Le Mlc sono infatti circa 3 volte più veloci nelle operazioni di lettura sequenziale e mantengono i dati molto più a lungo. Una progettazione accurata e un controller migliore possono però, in qualche caso, rendere le prestazioni degli Ssd basati su Slc praticamente uguali a quelle dei più costosi modelli Mlc. Per esempio è possibile dotare un Ssd Slc di una quantità di memoria maggiore di quella disponibile per l’archiviazione e sfruttarla per migliorarne affidabilità e prestazioni.
Recentemente Intel e Micron hanno presentato una nuova generazione di schede Nand, denominate Nand 3D, che sfruttano die Mlc da 256 Gb e innovativi die Tlc (Triple-level cell) da 384 Gb per arrivare a Ssd con densità mai raggiunte, capaci di stipare 10 TB in un package standard da 2,5”. L’introduzione di queste nuove tecnologie porterà nel breve periodo a un brusco calo del prezzo al gigabyte degli Ssd, candidandoli a principale sistema di storage del prossimo futuro.
La nuova generazione di schede Nand 3D permette di ospitare 10 TB in un package standard da 2,5″
La concentrazione in alcuni modelli di tecnologie al top per prestazioni e durata ha portato da qualche anno alla nascita di una nuova categoria di Ssd, specificamente dedicata allo storage delle grandi imprese. Gli Efd (Enterprise flash drives) sono la soluzione ideale quando siano richiesti livelli altissimi di Iops (Operazioni di Input/Output per Secondo), alta efficienza energetica e massima affidabilità e durata. Anche se la creazione di un vasto array di Efd può risultare più onerosa degli Ssd all’acquisto, risulta spesso conveniente valutando il total cost of ownership a tre anni.
Da Hdd a Ssd
Dei vantaggi di un Ssd rispetto a un Hdd si parla spesso, ed è un bene che sia così, perché i rapporti di forza tra questi due tipi di memoria di massa si sono rivelati assai mutevoli negli ultimi anni. Peraltro, anche le valutazione sulle prestazioni pure dei due sistemi è condizionata dalle profonde differenze di funzionamento tra la meccanica del disco, da valutare in termini di seek time e latenze di rotazione, e l’elettronica delle memorie allo stato solido, che ha prestazioni meno costanti nel tempo e degrada anche in condizioni di disco pieno e in uso da qualche tempo.
Oggi le prestazioni anche dei più economici Ssd risultano in ogni caso molto superiori a quelle del più veloce degli hard disk, che in termini di data transfer rate è generalmente 4-5 volte più lento, ma questo è più vero in alcune modalità di funzionamento che in altre. Sicuramente gli Hdd soffrono di un significativo ritardo nello start-up time, perché gli elementi meccanici faticano a mettersi in moto. Inoltre le loro performance in lettura sono condizionate dalla posizione dei dati da elaborare sui piatti. Gli hard disk sono soggetti a frammentazione, per cui è necessario un regolare procedimento di consolidamento dei dati per mantenere le massime prestazioni.
Per contro gli Ssd subiscono un fenomeno chiamato write amplification, che porta a un più o meno lento degrado delle prestazioni nel tempo, reso meno significativo nei dischi più moderni da specifiche tecniche di contenimento. In ogni caso il ciclo vitale delle celle Nand è limitato, e proprio per questo gli Ssd hanno a bordo molti elementi di ricambio per prolungare la vita dell’unità.
L’analisi sul campo ha comunque dimostrato che i dischi allo stato solido si guastano molto meno dei loro cugini elettromeccanici, tranne che in caso di ripetute e improvvise perdite di corrente, a cui gli Ssd sono particolarmente sensibili. La comune presenza in azienda di un buon gruppo di continuità rende comunque il rischio poco significativo.
I vantaggi di un moderno array di dischi allo stato solido non si fermano alle prestazioni e all’affidabilità. Vanno anche considerati i consumi energetici, generalmente ridotti a un terzo di quelli dello storage tradizionale, il minor rumore e le dimensioni più compatte, che le future implementazioni di questa tecnologia renderanno ancora più significative.
Mentre infatti la capacità di addensare informazioni con un sistema magnetico sta raggiungendo i limiti di un ragionevole rapporto costi/benefici, per gli Ssd la strada è tutta da tracciare, e si comincia a parlare di una curva simile a quella della legge di Moore per le prestazioni dei microprocessori.